Era il 30 novembre 1974, quando Lucy in the sky with diamondsfuroreggiava fuori dalle casse montate nel campo della spedizione internazionale guidata da Don Johanson e Yves Coppens, alla ricerca di fossili nella valle dell’Afar, moderna Eritrea.
Depositi risalenti a 3.2 milioni di anni fa restituirono alla luce i resti di una specie che verrà poi conosciuta come Austrolophitecus afarensis, ovvero i più antichi tra i nostri probabili predecessori. Di tutti gli esponenti di questa specie, il più famoso venne trovato in quell’autunno; e, sebbene il suo scheletro venne contrassegnato come A.L. 288-1, oggi è più conosciuto come “Lucy”, in onore della canzone dei Beatles.
Per molti anni ricerche hanno cercato di individuare la culla dell’umanità, il luogo dal quale tutto ebbe origine; la depressione dell’Afar era una delle “favorite”. In realtà, nuovi studi stanno mettendo in luce come non vi sia un unico luogo di origine: la nostra specie sarebbe frutto di un rimescolamento di popolazioni affini che avrebbero dato vita ad una serie di “meticciamenti” una volta incontratesi nei loro “vagabondaggi” nel continente africano. Gli ominidi erano nomadi: ovvero, camminavano per chilometri alla ricerca di cibo e di un posto migliore dove soggiornare, anche solo per qualche giorno. Questo rimescolamento non avrebbe solo giovato ai geni della discendenza sapiens sapiens, ma sarebbe anche la causa scatenante dello sviluppo tecnologico, a partire dalla produzione di manufatti in pietra. Secondo questo studio (pubblicato su “Trends in Ecology and Evolution”), i cambiamenti climatici hanno causato un’alternanza di periodi di isolamento delle varie popolazioni con periodi di intenso scambio culturale (e genetico). Dunque, l’evoluzione della nostra cultura è basata (e causata) dalla multi-cultura, dalla conoscenza e dell’accettazione del diverso, che sia un ominide o sia una tecnica differente utilizzata per creare asce di pietra più affilate. Ripercorrendo l’evoluzione dell’uomo saltando a piè pari qualche migliaia di anni, arriviamo, inoltre, a 100000 anni fa, quando un gruppetto di individui riconducibili all’essere umano moderno abbandonò l’Africa. Susseguendosi le generazioni, sostituirono popolazioni preesistenti, colonizzarono luoghi mai raggiunti dai loro simili, perfezionarono le abilità tecniche sia nel campo della cultura materiale sia in quello architettonico, svilupparono una tecnologia basata sull’utilizzo dei metalli e raggiunsero la Luna.
Riguardo a questo vastissimo continente, terra natia e suolo calpestato dai progenitori dell’umanità, si parla da secoli. Discussioni permeate di pregiudizi, di “tornate a casa vostra”, di concezioni e percezioni collegate alla paura del diverso, dello Straniero, e della supposta superiorità europea, retaggio coloniale ormai quasi indissolubile dalla nostra cultura. A luglio, Etiopia ed Eritrea hanno firmato una pace che ha posto fine ad uno dei conflitti più lunghi in Africa. Ciò che è stato comparato come “migliore della caduta del muro di Berlino” è il termine di una guerra fratricida che ha contrapposto due popoli che, nell’arco dei secoli, si erano trovati a convivere nella stessa entità statale. Entrambe regioni del Corno d’Africa, l’Etiopia venne risparmiata dal colonialismo europeo anche grazie all’operato dell’imperatore Menelik, mentre l’Eritrea conobbe l’occupazione italiana, in quanto fu uno dei territori ceduti da questo sovrano nel 1889, in cambio del riconoscimento della sovranità. Ovviamente, nonostante il futuro imperatore Hailé Selassié fece sì che l’Etiopia venisse annessa alla Società delle Nazioni nel 1923 e messa al riparo dalle mire espansionistiche grazie ai trattati internazionali, nel 1935 l’Italia fascista trovò un pretesto per cercare di annettere anche lo stato confinante, pur di ottenere l’Abissinia nella sua interezza (ovvero la zona che comprendeva Eritrea, Etiopia e Somalia). La conquista dell’Etiopia, ottenuta anche grazie all’utilizzo dell’iprite e delle bombe su obiettivi civili, resse ben poco al connubio fra Resistenza interna e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Il Regno Unito, finalmente, venne in aiuto dell’Etiopia e nel 1941 l’imperatore rientrò ad Addis Abeba. Nonostante l’atto aggressivo italiano nei confronti di un Paese appartenente alla Società delle Nazioni fosse da considerarsi gravissimo, tanto che avrebbe dovuto far accorrere le altre nazioni ben prima dei 5 anni di Resistenza, il Regno Unito avrebbe voluto annettere l’Etiopia come protettorato. Tutti i tentativi andarono in fumo, e i trattati anglo-etiopi siglarono un’indipendenza duramente e sanguinosamente conquistata. Nel 1950, uno degli interventi dell’Imperatore dopo aver riconquistato il potere fu quello di annettere l’Eritrea, che scomparve definitivamente dalle cartine geografiche in virtù della sua trasformazione in quattordicesima provincia dell’Etiopia. La lotta di liberazione durò fino al 1991, quando la Resistenza Eritrea entrò nella capitale, Asmara; ciò fu possibile anche grazie all’allontanamento del colonnello Menghistu che instaurò un regime in Etiopia e fu uno dei responsabili dell’oppressione del popolo eritreo. I due stati convissero più o meno pacificamente, ormai separati, fino al 1998 quando un contingente eritreo attraversò i confini e occupò una porzione di territorio etiope. Le ostilità terminarono nel 2000, ma le tensioni continuarono fino al giorno d’oggi, principalmente per questioni territoriali e dei confini.
Il summitche si è riunito questa estate, che è riuscito a chiarificare le posizioni dei due stati, riuscendo a trovare un compromesso, è l’esemplificazione di come l’apertura, l’abbattimento dei muri e lo scambio contribuiscano ad un arricchimento culturale e, in ultima istanza, alla pace.
Senza la via che ha permesso l’abbandono del continente africano ai nostri antenati, forse l’homo sapiens sapiensnon starebbe a lanciarsi bombe ad ogni piè sospinto, ma non avrebbe neanche prodotto racconti, opere teatrali, melodie, danze e tutto ciò che appartiene al nostro bagaglio culturale. Cambiando la latitudine, cambierà il modo di accostare le note musicali o il linguaggio con le quali si raccontano le storie, ma ciò non toglie che siamo tutti figli di Lucy, e che nella depressione dell’Afar i nostri progenitori si lanciavano semi e si toglievano parassiti l’un l’altro.