Sì, un film necessario sia per le tematiche “scottanti” (le morti in carcere che nel 2009 hanno raggiunto la cifra di 172 decessi), sia per far ancora una volta luce su una vicenda di cui si parla e si parlerà ancora per molto, visti i tempi e le incertezze della giustizia italiana. Ma soprattutto necessario per far chiarezza nella mente delle persone che continuano ad accusare Stefano Cucchi dei suoi comportamenti avuti quando era in libertà, prima della sua ultima settimana di vita raccontata nel film. E, nondimeno, è un film necessario per far chiarezza nelle menti di chi ha accusato la famiglia di non aver agito prima per risolvere le sue problematiche legate alla tossicodipendenza, non rispettando minimamente il loro dolore per la perdita vissuta.
Se pur la storia giudiziaria è ancora in corso è utile ricordare, prendendo spunto dalle didascalie finali del film, che «il primo processo per la morte di Stefano Cucchi è finito con l’assoluzione di tutti gli imputati. Dopo nuove indagini della Procura della Repubblica il 10 luglio 2017 il giudice per le udienze preliminari ha rinviato a giudizio tre carabinieri per omicidio preterintenzionale e altri due per calunnia e falso in atto pubblico» e che «i medici e i periti dei processi non hanno ancora trovato una spiegazione scientificamente condivisa sulla morte di Stefano Cucchi».
Il film, presentato nella sezione “Orizzonti” alla Mostra del Cinema di Venezia, propone una presa di posizione netta e decisa: quello della denuncia.
Il regista Alessio Cremonini racconta la storia di un corpo e sceglie come punto di vista i momenti vissuti da Stefano e ci interroga su come sia possibile che nessuno delle 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri con cui Stefano è venuto a contatto nella sua ultima settimana di vita abbia capito veramente il dramma che stava vivendo.
L’ottimo esordio del film (nella sola prima giornata apre al sesto posto della classifica italiana con 43mila euro e poco meno di 7mila spettatori) presenta anche una novità distributiva. Nello stesso giorno di uscita sulla piattaforma Netflix è stato distribuito anche in (poche) sale cinematografiche (ad es. su Roma solo 6 sale hanno programmato il film). Staremo a vedere se ciò ne limiterà il periodo in sala. Ma è un esperimento valido, perché è una storia che va trasmessa a più persone possibili.
Infine una nota di merito per l’egregia interpretazione di Alessandro Borghi. L’attore, ha attraversato un duro percorso di preparazione che va dal dimagrimento di 18 chili alla lettura, e poi all’interpretazione, di buona parte delle carte processuali per renderci sullo schermo, gli ultimi momenti di vita di Stefano. Vi è inoltre da sottolineare come sia gli interpreti, Borghi e Jasmine Trinca, che il regista non si siano limitati all’interpretazione dei fatti e dei ruoli, ma abbiano sposato la causa, partecipando, a volte in compagnia di Ilaria, sorella di Stefano, alle proiezioni avvenute nei cinema della capitale e non solo.
Giovanni Grasso
Regia: | Alessio Cremonini |
Produzione: | Cinemaundici (Luigi Musini, Olivia Musini), Lucky Red (Andrea Occhipinti) |
Durata: | 100’ |
Lingua: | italiano |
Paesi: | Italia |
Interpreti: | Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano |
Sceneggiatura: | Alessio Cremonini, Lisa Nur Sultan |
Fotografia: | Matteo Cocco |
Montaggio: | Chiara Vullo |
Scenografia: | Roberto De Angelis |
Costumi: | Stefano Giovani |
Musica: | Mokadelic |
Suono: | Filippo Porcari |