Se pensiamo a Rugantino ci troviamo a rivivere Roma in piena età papalina, mentre con Fregoli torniamo ai tempi della Belle Epoque, invece con “Roma Capoccia” di Venditti ci riconduce direttamente all’ormai storico Folk Studio. Tre epoche diverse ma un unico luogo: Roma, e un’unica lingua perché un dialetto quando diventa storia e lascia dietro sé quello che ha lasciato il “romanaccio”, di lingua ci piace parlare. Dagli scritti di “Cronica d’anonimo romano” del ‘300 fino a “Roma capoccia” di Venditti, passano 700 anni, sette secoli durante i quali Roma ha visto passare sulle sue strade papi, re, imperatori e tutta una serie di personaggi più o meno famosi.
I vicoli della città eterna e i grossi agglomerati urbani che ormai si estendono ben oltre “le mura” e ormai lontani anche da “Fori porta” sono e sono stati testimoni oculari di avvenimenti che diventano storia, la stessa che occupa buona parte dei libri di testo specializzati in tale materia.
A Roma si è concretizzata una ridda di eventi che hanno sia positivamente che negativamente cambiato il volto alla città in primis, ma anche alla nazione e al mondo intero. La presenza del papato prima, centro della cristianità e successivamente il ruolo di capitale d’Italia, hanno fatto di Roma e del suo popolo un elemento cosciente delle proprie capacità e del suo ruolo fondamentale nelle decisioni, anche quelle estreme. Insieme a tutto ciò poche comunità hanno testimoniato con scritti, raffigurazioni e soprattutto con forme d’arte come la poesia e la canzone, le trasformazioni, i fatti di una città e cantato e raccontato i suoi pregi e i suoi difetti. Tutto questo con una lingua quasi sempre in evoluzione, che ha mantenuto una costante radice, senza mai cangiare troppo o senza stravolgere completamente la propria natura irriverente. Le “pasquinate”, gli “stornelli” e i moderni “rapper”, passando per Sor Capanna e Ciancaribella mantengono una vena di sarcasmo come i versi del Belli e quelli ancora più profondi e irriverenti di Sallustri. Prelati, nobili, più o meno blasonati, popolani, guardie e ladri sono stati sempre bersaglio di questa vena romana, forse la presenza e la permanenza dei poteri forti che da sempre abitano a Roma ha dato ai suoi illustri cittadini la consapevolezza di essere custodi di un sapere e di una serie di misteri che, se svelati al resto del mondo, potrebbero cambiare le sorti del genere umano. I segreti del Vaticano e del Viminale sono ormai argomento noto di discussione come lo sono le trame oscure dei vari banchieri, banditi e uomini di governo ormai accomunati da un solo destino.
Anche qui i nostri poeti e cantanti non hanno fatto sconti a nessuno, come del resto i nostri cineasti, film come “In nome del Popolo Italiano”, o “Brutti, sporchi e cattivi”, per citarne solo due, sono simbolo di una città fatta di palazzi del potere ma anche di baracche e fanno da giusto compendio ad un linguaggio, quello delle immagini, sempre critico e attento alle contraddizioni di una metropoli, che in passato ha vestito abiti più importanti, quello per esempio di ombelico di un impero o di centro di una delle religioni più importanti e seguite del mondo.
Parallelamente alle produzioni di stampo sociale e di costume, con la rivalutazione di figure come Petrolini, Fregoli e Balzani ad opera di Lando Fiorini, “Gabriellona” Ferri e Alvaro Amici negli anni settanta a Roma nasce la canzone legata al disagio delle periferie e non solo, quel disagio che tanto ispirava Pasolini che romano non era. Ecco allora che Edoardo De Angelis scrive una delle canzoni che fa da spartiacque tra i due mondi: “Lella”. In questa canzone che è d’autore anche se non sembra, abbiamo tutto; la passione, la consapevolezza della colpa che si deve confessare per forza, ma senza rimpianti e la spiaggia di Ostia, il braccio teso verso il mare di Roma, dove nella realtà troverà la morte Pasolini che probabilmente con i suoi film e i suoi scritti molto ha contribuito alla formazione di quei giovani che oggi cantano Roma e le sue strade. La “Lella” di De Angelis e la “Lilly” di Antonello Venditti dividono lo stesso triste destino, quello di essere donne e vittime in un mondo dove la fanno da padrone la morale, il sopruso e il denaro. Ma la canzone e la poesia romana non sono solo questo, serenate e “canzoni belle e appassionate” per dirla come Petrolini sono l’altra faccia di una città che ha mantenuto il buon umore e il sentimento alto anche nei momenti peggiori. Pur se martoriata da bombardamenti, deportazioni e soprusi di ogni genere Roma dopo ogni guerra ha la forza ancora di poetare e cantare di “Nannarelle” e”Ninette”. “Nunziata” che viene chiamata dall’amato alla finestra non è altro che uno dei momenti più alti della canzone popolare. I barcaroli a cui “Riassomma er viso de Ninetta bella”. La “Gente de borgata” raccontata da uno che di Roma non è, ma viene dal sud, definendosi un bastardo e che narra la sua città di adozione forse meglio di chi è romano, le “Ballate Rap” scandite con un linguaggio ormai quasi incomprensibile ai romani D.O.C., il tutto spalmato nell’arco di poco più di un secolo, sono la testimonianza di una evoluzione culturale che passa per tutte le discipline del linguaggio, dalla canzone alla poesia. Parole come “Ciumachella” e “Core adorato” sono ormai in disuso nel lessico popolare, ma sono però riproposte con termini nuovi, tanto da riempire ancora l’etere, prima e oggi il Web fino ad essere “pompati”, per usare un termine nuovo di zecca, dagli altoparlanti delle macchine che sfrecciano dal centro alla periferia e viceversa. Al contempo la serata del 19 ottobre 2018 all’Ex Mercato vuole essere un ricordo delle grandi iniziative di piazza, come il festival di San Giovanni, un atto di ossequio a luoghi di incontro e aggregazione come il Folk Studio e una smisurata lode a personaggi come Petrolini, Romolo Balzani, Trilussa e tanti altri che con la loro arte hanno raccontato Roma e le sue genti. Questo lavoro è inoltre un omaggio a tutti noi che almeno una volta abbiamo canticchiato “La società dei magnaccioni” o ascoltato una poesia del Belli e soprattutto un piccolo ricordo di quelli che dopo otto ore di “cantiere” e due soldi in tasca avevano ancora la forza di ridere, di portare tutta la famiglia “ar gatto D’Oro” e canticchiare “Roma Capoccia der monno n’fame”.
Associazione culturale CALPURNIA & Associazione Culturale CLAMA CULTS