A Roma è possibile visitare fino al 3 febbraio 2019, negli spazi del Complesso del Vittoriano – Ala Brasini – , la mostra intitolata “Andy Warhol”dedicata a uno dei più influenti artisti del XX secolo. Numerose sono le mostre in corso in diverse città italiane e internazionali dedicate all’artista di Pittsburgh poiché nel 2018 ricorre il novantesimo anniversario dalla nascita di Andrew Warhola Jr.
Andrew,figlio di immigrati slovacchi, firmava le sue opere con lo pseudonimo che lo ha reso celebre, Andy Warhol, e i suoi capolavori sono tuttora tra i più quotati sul mercato dell’arte. Nonostante questa molteplicità di esposizioni ognuna ha una sua matrice che la differenzia dalle altre, questo grazie all’immane produzione di Warhol, artista prolifico e poliedrico, che riusciva a trasformare in oggetto artistico opere solo apparentemente banali, ma in realtà cariche di significati e provocazioni.
Matteo Bellenghi, curatore della mostra romana,ha deciso di non utilizzare il criterio cronologico per esporre i 170 pezzi che arricchiscono l’esposizione ma ha preferito dividerli in filoni: la personale si articola in una sala dedicata alla Musica, una allo Star System, alle Polaroid, ai disegni realizzati dall’artista e non poteva mancare quella dedicata alle Icone che sono diventate il marchio di fabbrica di Warhol e della sua Factory.
La tecnica da lui prediletta era la serigrafia con cui realizzò le famose icone delle Marilyn Monroe, Liz Taylor, Mao Tse-Tung e tantissimi altri personaggi che contribuì a rendere leggendari trasformando il loro primo piano in un’opera d’arte. Non sempre l’artista interveniva sul risultato finale tant’è, che dopo la sua scelta del dettaglio da “iconizzare”, demandava il termine dei lavori ai suoi collaboratori. Si è generato tuttavia un fiorire di “icone” realizzate da terzi e spacciate come se fossero di Warhol ma, l’artista, dall’alto del suo genio, ha deciso di ufficializzarle apponendo la sua firma. Perché questo? Perché la sua era Pop Art, l’incontro tra arte e mass-media, l’arte di tutti e a disposizione di tutti.
Le sue sono icone laiche (sebbene nascano dalle suggestioni provocate in lui dalla vista dell’iconostasi della chiesa di Pittsburgh), massimi esempi della cultura popolare americana. Nella mostra è però possibile osservare anche due pezzi provenienti dalla serie delle Electric Chair, nel suo tentativo, riuscito tra l’altro, di rendere eterni, pop, anche dei momenti drammatici.
Nella sezione dedicata alla Musica si scoprono le collaborazioni che l’artista americano ebbe con i principali musicisti dell’epoca. Realizzò copertine di album passati alla storia come la banana di The Velvet Underground & Nico del 1967, i jeans di Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stonesed è possibile, attraverso apposite postazioni, riascoltare questi pezzi che hanno cambiato per sempre il panorama musicale.
La sala dedicata alle Polaroid è un vero e proprio salto nel tempo, si riconoscono i personaggi più in voga del momento che affollavano il noto locale Studio 54 frequentato assiduamente dall’artista. Warhol aveva un’ossessione per le polaroid, ne scattava tantissime, compulsivamente, per poi scegliere la posa perfetta che sarebbe stata trasformata, attraverso la serigrafia, in una celebre icona. In mostra possiamo, ad esempio, ammirare sia l’istantanea scattata a Giorgio Armani che la sua trasformazione in serigrafia e seguire così tutto l’iter creativo del genio Warhol.
Warhol, sia allora che incredibilmente anche ai giorni nostri, è stato così avanguardistico da essere amato o disprezzato tanto da fargli dire “…alcuni critici hanno detto sono il nulla in persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla e mi sono sentito meglio.”