Le opere di Jackson Pollock e degli artisti della Scuola di New York affolleranno, fino al 24 febbraio 2019, le sale dell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano di Roma (già sede, fino a febbraio 2019, della mostra su Andy Warhol) ed andarle ad ammirare è un’occasione da non farsi scappare.
Il Whitney Museum di New York ha messo a disposizione, per l’esposizione romana, un nucleo molto importante di opere che permettono di comprendere appieno le innovazioni dell’Espressionismo astratto.
La portata rivoluzionaria di questo movimento artistico statunitense può essere racchiusa in quattro concetti chiave: introspezione psicologica, anticonformismo, ricerca di sè e sperimentazione.
In particolare, la sperimentazione si esplicita soprattutto nello stile di pittura utilizzato dagli artisti, detto action painting, che prevede un coinvolgimento psicologico oltre che fisico nella realizzazione delle loro tele, ma anche nelle tecniche da loro adottate, prima fra tutte il dripping che consiste nel versare o far ‘gocciolare’ i colori su una superficie collocata per terra, direttamente dal tubo o dal barattolo, abolendo la stesura con il pennello, in una disposizione affidata prevalentemente al caso.
Pollock è senza dubbio l’artista più emblematico della corrente e perciò a lui è dedicata, in esclusiva, un’intera sezione della mostra. Incarna il prototipo dell’artista maledetto, agli inizi della sua carriera era conosciuto per il suo carattere rude e per i suoi eccessi (soprattutto quello del bere che lo portò alla morte prematura a seguito di un incidente stradale provocato proprio dall’essersi messo alla guida ubriaco) e solo l’incontro con due donne gli permise di diventare il pittore che noi tutt’ora conosciamo e ammiriamo.
Il primo, quello con la moglie Lenore, anche lei pittrice, costretta a spacciarsi per uomo cambiando il suo nome in Lee Krasner per essere accettata dal mercato dell’arte (è possibile ammirare una sua opera nel percorso della mostra) ed il secondo con la collezionista ed ereditiera Peggy Guggenheim, la prima ad intuire il grande talento di Pollock, tanto da dedicargli una personale e offrirgli un contratto con la sua galleria Art of This Century che gli permise di dedicarsi esclusivamente alla pittura.
Tra i quadri esposti c’è anche il celeberrimo “Number 27”, conosciuto come la Gioconda di Pollock, tra le opere più apprezzate e conosciute del pittore statunitense. Una vera e propria esplosione di colori e mix di materiali, infatti, egli vi utilizzerà anche delle cordicelle e della polvere argentata. Il titolo stesso fa comprendere una costante in Pollock, ossia l’esigenza di non porre limiti alla fantasia imbrigliando le opere in significati prestabiliti ma lasciandole libere alle interpretazioni della coscienza. Nella stessa sala di “Number 27” è proiettato un video che riprende l’artista durante la genesi di questo suo capolavoro, si riesce ad osservare così l’estrema concentrazione e l’impegno con cui le sue opere venivano realizzate. Bisogna vedere Pollock a lavoro per comprenderne ancora di più la portata innovativa.
L’altra sezione della mostra è dedicata alla Scuola di New York: coloro che ne hanno fatto parte, a dispetto del nome, non hanno aderito a nessun tipo di programma, di manifesto o di scuola, ma, semplicemente, è stato un raggruppamento informale di artisti attivi a New York negli anni ‘40 e ‘50 la cui arte orbitava nello stile dell’Espressionismo Astratto.
E’ possibile ammirare nella mostra romana artisti quali Arshile Gorky, Franz Kline, Willem de Kooning, Mark Rothko, Mark Tobey che, insieme allo stesso Pollock, si riunivano spesso presso la galleria di Peggy Guggenheim a New York.
Essi formarono anche il cosiddetto gruppo degli Irascibili. L’epiteto è dovuto a un preciso episodio. Nel 1950 il Metropolitan Museum of Art decide di organizzare un’esposizione sulla pittura contemporanea americana non includendoli nel progetto, la reazione degli artisti fu immediata: una piccata lettera di protesta al direttore del museo, pubblicata anche sul New York Times. Non solo, in quell’occasione gli Irascibili si fecero immortalare in una celebre foto che li rappresenta vestiti da banchieri e con al centro Jackson Pollock.
E’ proprio la gigantografia di questa fotografia a porre fine al percorso espositivo del Vittoriano, un’esposizione che vale la pena di visitare per avere uno spaccato del fermento creativo dell’America nella metà del secolo scorso e, perché no, nel tentativo di non limitarsi a vedere nei quadri di Pollock solo due schizzi su una tela, bensì un’esigenza comunicativa impetuosa.