Un tempo così drammatico qual’è quello che stiamo vivendo, non può non indurre a riflettere su scelte operate dai nostri governi negli anni scorsi, le cui ricadute si riverberano, e pesantemente, sull’intera collettività, sebbene essa non sia stata minimamente consultata. Alcune di queste scelte sono di carattere militare-bellico, più che altro determinate nel quadro delle cosiddette “alleanze” internazionali dell’Italia, nella fattispecie nell’ambito della sudditanza politico-militare dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti d’America. Non si tratta ovviamente di sovvertire un’alleanza storica, le cui origini sono ormai ben radicate nel tempo. Un tempo in cui l’Italia ha contribuito in modo più che significativo alla nascita e allo sviluppo degli Stati Uniti, con l’emigrazione di milioni di nostri connazionali i cui discendenti oggi sarebbero circa trenta milioni. Piuttosto, si tratterebbe di riconsiderare i termini di una serie di legami di carattere militare-bellico, che ci sono stati imposti a seguito della fine della seconda guerra mondiale. Legami che nel tempo hanno comportato l’apertura di numerose decine di basi militari statunitensi e della NATO sul territorio italiano, senza che il popolo italiano potesse mai esprimersi in merito, sempre con la motivazione che avendo l’Italia perso la guerra, non aveva e non avrebbe avuto titolo ad esprimere un proprio “punto di vista” in merito.
Tuttavia col passare dei decenni la crescente strutturazione di questa rete di basi militari straniere sul nostro territorio ha finito per generare una serie di problematiche crescenti, sebbene sempre ben occultate all’opinione pubblica dal sistema mediatico prevalente: dalla confisca di interi territori destinati alla costruzione di queste basi, all’uranio impoverito impiegato in esercitazioni militari e in simulazioni di guerre in Sardegna, Friuli e in altre regioni italiane; dall’installazione di un crescente numero di testate nucleari-atomiche fino all’acquisto “indotto” da parte dell’Italia di decine di costosissimi aerei militari da guerra, prodotti da imprese belliche americane come la Lockeed Martin, presente nel nostro Paese da molti decenni. E proprio su questi aerei negli ultimi decenni si è andata focalizzando l’attenzione di diverse associazioni pacifiste e di qualche raro attivista politico, di solito proveniente da territori e contesti più direttamente coinvolti nelle attività di carattere bellico delle basi militari prima menzionate.
Nel 1993 gli Stati Uniti avviarono un programma di sviluppo di un nuovo aereo di combattimento, chiamato F35 prodotto dalla Lockeed Martin. Un aereo di quinta generazione, dotato di tecnologia Stealth, cioè a bassissima visibilità da parte dei sistemi radar, in grado di trasportare ordigni nucleari. Una macchina volante da guerra estremamente sofisticata e costosa, in grado di sostituire un’ampia gamma di velivoli militari. Nell’intento di ammortizzare gli elevati costi di sperimentazione e produzione di questo aeromobile, furono coinvolti vari paesi sotto la sfera d’influenza degli Stati Uniti. Anzitutto la Gran Bretagna, primo alleato militare degli americani, Canada, Israele, Italia, Turchia, Australia, Norvegia, Danimarca, Singapore…
I governi italiani che da allora si sono succeduti hanno coinvolto in maniera crescente lo stato italiano, cioè tutti noi cittadini, in un poderoso programma di acquisto di questi aerei, con l’intento di mantenere l’Italia in una posizione non troppo secondaria nel club degli alleati ristretti degli Stati Uniti. Inizialmente il progetto prevedeva l’acquisto da parte italiana di 131 velivoli, successivamente ridotto a 90, grazie ad una persistente campagna di sensibilizzazione svolta da associazioni ed esponenti di cultura pacifista-non violenta che indusse nel 2012 il governo di Mario Monti -dopo aver consultato il governo degli Stati Uniti- a ridurre il numero dei velivoli richiesti dall’Italia. Va detto però che tale riduzione non esplicitava il bilancio complessivo effettivo a carico dall’Italia. Un particolare non di poco conto, rimasto nell’ombra. Nell’intento di rendere meno invasivo sull’opinione pubblica l’acquisto di questi aerei, la partecipazione italiana al progetto F35 prevedeva il coinvolgimento di 12 regioni e circa 40 siti industriali. Il gruppo Finmeccanica per il 30 % di proprietà del Ministero dell’Economia, si coinvolse con le aziende: Alenia, Selex, Galileo, Selex Communications e Avio. Alenia nello stabilimento di Pomigliano d’Arco iniziò a fabbricare alcune componenti finali delle ali dell’aereo. Inoltre nella base militare di Cameri, in provincia di Novara, nello stabilimento FACO, fu installata l’unica linea di assemblaggio finale, manutenzione, supporto logistico e aggiornamento degli aerei al di fuori degli Stati Uniti, l’unico impianto previsto per tutta l’Europa dove si assemblano F35 destinati all’Italia e all’Olanda, nonché una parte di ali e tronconi di fusoliera dei velivoli destinati agli Stati Uniti. Tuttavia il margine economico effettivamente a vantaggio delle imprese italiane è assai più modesto dell’impegno di spesa: si tratterebbe di un ricavo di alcune centinaia di milioni di euro a fronte di una spesa di diverse decine di miliardi di euro.
Le suddette campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, nonostante il potente oscuramento dei mezzi mediatici statali e dei maggiori gruppi economici del Paese, finirono per produrre alcune discussioni parlamentari, una delle quali in particolare si dichiarò contraria ad un acquisto su vasta scala di questi aerei. Ma i governi italiani che si sono succeduti negli anni, pur dichiarando a parole di voler tener conto della indicazione parlamentare, in realtà non hanno mai agito per realizzarla, tutt’altro. Nel concreto l’impegno finanziario italiano praticamente è stato lasciato inalterato, ma solo dilazionato in un arco temporale maggiore, senza nessun risparmio complessivo reale per il Paese.
I vertici della Difesa più volte hanno cercato di propagandare un dimezzamento del “costo complessivo” del progetto secondo un meccanismo di compensazione che avrebbe consentito di “recuperare l’impatto economico del programma” grazie ai ritorni economici per alcune imprese italiane sopra menzionati. Una valutazione che però non ha tenuto conto del fatto che i costi erano e sono pubblici, mentre i ricavi sono appannaggio esclusivo dei privati. Questa presa di posizione dei generali italiani venne criticata dalla Corte dei Conti in una sua analisi del 2017, in cui parlava di “illogicità concettuale di una compensazione della spesa a carico del bilancio della Difesa con poste attive in favore dell’industria”.
Dopo qualche anno di affievolimento della discussione sugli F35, nel 2017 il Ministero della Difesa firma un accordo con gli Stati Uniti per l’acquisto di 17 aerei in tre anni. Quando arriva al governo il Movimento Cinque Stelle esprime inizialmente una contrarietà al progetto, manifestando una iniziale fedeltà alle componenti antimilitariste del proprio movimento. Col passare dei mesi però cambierà radicalmente idea, sebbene alcuni sui esponenti continueranno ad essere contrari, senza però poter incidere sulla nuova ed inedita linea “a favore” che di fatto il Movimento farà propria. Alla luce delle numerose criticità italiane, nonché dell’attuale drammatica crisi sanitaria generata dalla pandemia, un’interruzione del contratto permetterebbe il riorientamento di risorse finanziarie italiane importanti a favore delle numerose emergenze che la società italiana sta vivendo in questi mesi. Con venti miliardi risparmiati si potrebbero acquistare 200 elicotteri per l’elisoccorso, 60 aerei canadair per spegnere gli incendi estivi, la messa in sicurezza di diecimila scuole italiane, costruire duemila asili nido, 20 mila posti di lavoro per assistenti familiari… Per non parlare di importanti problemi politico-istituzionali che l’acquisto di questi aerei da guerra pone all’Italia. Infatti con questi velivoli l’Italia si pone in chiaro conflitto con la propria Costituzione, che rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Di fatto con questi aerei l’Italia si dota di sistemi d’arma estremamente nocivi e disumani, essendo anche dotati di capacità nucleare, come il trasporto delle bombe B61.