di Luisa Di Maso
Instagram @luisa.di.maso
Scrivere di sé, dopo aver vissuto un’esperienza dolorosa, aiuta a mettere ordine nei fatti, a prendere coscienza di ciò che è stato senza la pretesa di attribuire significato, perché il più delle volte significato non c’è. Il dolore s’insinua nella carne, nelle viscere e s’imprime sulla carta molto più facilmente della felicità che per sua natura è distraente. Nella scrittura autobiografica l’autore coincide con il narratore e parla in prima persona; una potente modalità di esternazione, tanto da essere consigliata dagli specialisti come cura.
In “Oltre l’impossibile” Katia Garzotto ci racconta l’esperienza terribile della malattia della primogenita, Aurora, nata con la grave sindrome di Goldenhar, che le dà poca speranza di vita. Katia considerata debole dai familiari, come lei stessa dichiara nel libro, deve tirare fuori una forza indicibile per affrontare la realtà che subito si palesa al momento del parto.
“Mi ricordo che quando partorii mi chiesero se sapevo di avere una bambina malata in grembo, no che non lo sapevo. Mi diedi le colpe per non aver fatto l’amniocentesi, avevo paura di perderla facendo l’esame. Ma poi la mappa cromosomica che ha fatto anche Aurora andava bene. Le sue malformazioni si sarebbero dovute vedere con l’ecografia morfologica che si fa alla ventiduesima settimana e poi procedere con indagini più specifiche. Il medico che mi fece l’ecografia mi disse solo che era femmina e che aveva tanti capelli (…).
Pagine dolorose, di quelle che trattieni con un nodo alla gola e che vorresti fossero opera di fantasia e non la storia vera di una madre battagliera e una figlia dolce che ha quel modo senza suoni di comunicare.
“Aurora non emette suoni, se ha dolore te ne accorgi dalle lacrime silenziose che le scendono sul suo visino.”
Aurora e sua madre trascorrono la maggior parte del tempo negli ospedali, Roberto, il padre, fa la spola casa, lavoro, reparto di pediatria. Nei momenti più difficili, in cui la bambina è ricoverata in terapia intensiva, i genitori attendono nei corridoi il momento opportuno per entrare anche per un solo istante. Difficile accettare, afferma indignata l’autrice, il comportamento maldestro di alcuni medici che sembra non abbiamo sensibilità né attenzione e agiscono sul corpo della bambina come la piccola fosse un pupazzo. Ma a fronte della scarsa sensibilità di alcuni, tanti altri medici e infermieri hanno reso l’ospedalizzazione, per quanto possibile, un luogo più umano.
Quanto è difficile credere ancora in Dio, quanto è dura mantenere intatta la fede quando ci si trova di fronte a una malattia che è una condanna.
“In fondo al corridoio del reparto, c’è una statua raffigurante la madonna, intorno fiori e bigliettini di ringraziamento per aver ricevuto il dono della maternità (…) e le mie preghiere? Dove sono le risposte alle mie tante domande? Non ci saranno mai, ma soprattutto mi chiedo ancora, perché? Quando morirò potrò dire di essere già stata all’inferno.”
Un libro che addolora e che nonostante ciò va letto, per dare ascolto a chi la sofferenza l’ha vissuta in prima persona e ha avuto il coraggio di raccontarla, ma anche perché in questa lucida narrazione ciò che fa breccia nel cuore del lettore è la condivisione generata dalla vicinanza, nei reparti di degenza, con le altre mamme e con gli altri bambini speciali.
“Il bambino che sta accanto al lettino di Aurora (…) si è affezionato tanto a mia figlia, ogni pomeriggio la prendo in braccio e mi metto seduta vicino a lui in modo che possa tenerle la mano e parlarle. A lui piace tanto quel momento, anche se Aurora non gli ha mai parlato, ma nella loro unicità, nel loro essere speciali, si capiscono, con il cuore, con gli occhi, con la mente.”
Oltre l’impossibile
Katia Garzotto
Brè edizioni