di Luisa Di Maso
Instagram @luisa.di.maso
Chi non ha mai ceduto alla curiosità di gettare un’occhiata nei binocoli a gettoni dislocati sulle terrazze panoramiche delle città? Punti di avvistamento territoriale, rivelano elementi mai notati prima oppure vicinanze inaspettate che al nudo occhio non si mostrano. Sorprende quella cupola spuntata dal groviglio di tetti e antenne, oppure l’edificio con quel piccolo dettaglio alle finestre impossibile da notare senza l’ausilio del mezzo accattivante. La vista acuita si dispiega e, come in un fermoimmagine, cattura la visione di un momento. Peccato la durata sia un frammento legato al valore di una moneta, eppure resta vivido il ricordo di quella sensazione di scoperta.
Sembrerebbe paradossale accomunare l’esperienza di visione aumentata da un binocolo a gettoni alle questioni umane, eppure l’autore di questo prezioso libretto di racconti lo fa, descrivendo in modo del tutto originale il momento esatto in cui i protagonisti vedono chiaramente e consapevolmente le cose per quello che sono. In realtà a prendere coscienza è anche il lettore che sussulta, soprattutto al termine di alcune di queste brevi storie, quando si accorge che la verità è tutt’altra cosa.
“- Maledette Macchine. (…) La sua cronica insicurezza le aveva sempre impedito di guidarne una, ma, da qualche tempo, quell’ansia intima e profonda era mutata in aperta repulsione. Poi il semaforo scattò, lei raggiunse il marciapiede di fronte e lì, finalmente, lo vide: il suo bambino. Lui la aspettava, con il grembiule blu e il caschetto biondo”.
In BINOCOLI A GETTONI entri nella vita di molti, in certi momenti esatti, e provi una forte empatia. Si carica di emozione la lettura, ilarità, talvolta stupore per certi passaggi inverosimili come nella storiella “Il Vecchietto e il tarlo”.
Il libro è insolito. Si legge per la sua brevità tutto d’un fiato ma si sente poi la necessità di ritornare su alcuni passaggi per meglio assaporarli. La narrazione in alcuni punti potrebbe apparire slegata ma a un occhio attento questa considerazione si rivela supposizione. La scrittura è accurata, talvolta vivacizzata dalla napoletanità.
“Caro Pasquale, che t’aggia dicere, avevi ragione. Quando insistevi che il pessimismo non paga, che bisogna pensare positivo, che la vita è strana. Ti ricordi? Me li facevi sempre ‘sti discorsi al negozio. E poi mi ripetevi in continuazione m’o vec io. I conti non tornano? Me la vedo io. Il fornitore chiede un acconto? Me la vedo io. La proprietaria vuole un aumento? Me la vedo io. Perché ci sapevi fare tu. Il pigione dallo a me, che glielo do io alla signora, tanto ormai siamo tazza e cucchiara”.
Il racconto finale, di poche righe, è sublime.
“Come i rovi che tutto hanno coperto dopo anni di incuria e abbandono, così, tornando qui, percezioni e ricordi s’intrecciano (…) Io volevo coltivare parole per vivere (…) Tu volevi mi sostituissi a te. (…) Poi il silenzio reciproco, la solitudine orgogliosa, il tempo impietoso e implacabile”.
Binocoli a gettoni
Antonio Laurino
Scatole parlanti