di Luisa Di Maso
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Le storie di famiglia sono quelle che sempre appassionano, che rendono viva la lettura semplicemente perché veritiere le esperienze di cui si narra. Tutti possono rispecchiarsi in questo e in quel personaggio, tutti rintracciano somiglianze e differenze con i propri cari, con le origini, col territorio, con il contesto urbano o contadino che sia. È per questo, forse, che tanti amano tale tipo di narrazione, così godibile, così conforme alla vita vera anche se, talvolta, l’ambientazione è lontana dal tempo vissuto. Scritto con l’intenzione di dare un seguito al fortunato romanzo “Il lino delle fate”, “La melanargia” si legge anche separatamente dal precedente, meglio tuttavia accaparrarsi il primo volume e andare in ordine per non perdere la bellezza dell’insieme.
“Tornare ai luoghi della sua infanzia era sempre una tempesta di emozioni per Virgilia. (…) Quella masseria non era solo pietre, terra, piante, animali. Era famiglia e radici, era abbracci e separazioni, era risate e lacrime, nascite e morti, balli e sudore, amore e lavoro. Era l’assenza del padre e i racconti della madre; le carezze della nonna Lena e i rimproveri dello zio Antonio; i silenzi indecifrabili di Porsia e le parole forbite di Saverio; le preghiere di nonna Teresa e i riti superstiziosi di Sietta. (…) E in quella masseria le assenze le correvano incontro ancora prima delle presenze.”
A impreziosire il racconto il contesto storico, descritto con veridicità e accuratezza, degli anni che vanno dal 1808 al 1864 in terra d’Itria. Ne è un esempio questo passaggio che l’autrice inserisce durante una conversazione tra due personaggi.
“La scintilla che aveva ridestato la protesta liberale in tutta la penisola era stata l’elezione nel gennaio del 1846 di papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, il quale aveva abbracciato apertamente la causa delle rivendicazioni italiche. Carbonari e mazziniani, che mai avevano smesso di covare sotto la cenere, avevano ripreso a soffiare sui carboni dell’insurrezione. I semi erano stati gettati e i primi germogli erano spuntati in Calabria, dove a settembre del 1947 cinque ardimentosi giovani avevano guidato un’eroica sommossa antiborbonica nel distretto di Gerace, pagandone le conseguenze con la morte per fucilazione”.
E poi ci sono i venti che spirano sulla collina Martinese, otto in tutto come otto sono i capitoli di questo romanzo che raccontano otto anni ciascuno. Una scelta stilistica dell’autrice apprezzabile anche solo per il rigore con cui struttura il romanzo rendendolo ordinato e più facilmente fruibile.
“Nella mitologia greca è Apeliote, dio del vento dell’est, giovane fanciullo riccioluto e di verde vestito, con in mano i fiori, frutta e grano, venerato dai contadini in quanto dispensatore di acqua benefica per i raccolti. (…) A Martina è il vento da Stùne, perché proviene dalla direzione di Ostuni, il suggestivo borgo delle case imbiancate a calce fin sopra i tetti.”
Il libro è avvincente. Un turbinio di emozioni la vicenda di Virgilia e della sua estesa famiglia, un susseguirsi di colpi di scena alternati a momenti di placido scorrere del tempo tra tradizioni contadine, salotti borghesi, rivoluzioni. Colto, approfondito, ben scritto, curato anche nella grafica, questo romanzo conferma la bravura dell’autrice Annapaola Digiuseppe la cui scrittura sapiente e garbata merita riconoscimento.
La Melanargia
Annapaola Di Giuseppe
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