di Luisa Di Maso
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La galera, come orizzonte di vita per ragazzi sempre più giovani che commettono reati, è una prospettiva disastrosa, soprattutto se consideriamo che il maggior numero di crimini commessi dai minorenni sia contro il patrimonio. Delinquere è un atto illecito e siamo d’accordo, ma la pena spesso è controbilanciata da un sentimento diffuso nel sociale e nella politica repressiva che può essere espresso semplicisticamente: meglio dentro che fuori, almeno così li teniamo buoni. Sedati, se necessario, incattiviti in ambienti ristretti, sovraffollati e violenti, i ragazzi negli istituti penitenziari usufruiscono di poche e preziose possibilità di rieducazione. La scuola, nelle carceri, è vitale per molti giovani detenuti che attraverso le lezioni coltivano un impegno nelle giornate tutte uguali e soprattutto vengono aiutati a ridefinire un progetto di vita. Gli effetti di un incontro con un “buon maestro” è ricorrente nella letteratura e sarebbero tanti gli esempi da citare, non ora, però, lo spazio è giusto riservarlo a questo romanzo, scritto in forma epistolare, in cui si racconta di un quindicenne detenuto a Nisida, di nome Zeno che, sollecitato dalla professoressa di italiano che incontra in carcere, scrive i suoi pensieri.
“Ho fatto una promessa alla signora Martina che è la professoressa nostra, qui a Nisida. La professoressa di italiano. Ho promesso di scrivere quello che mi pare a me, sui fogli. Dice che, se scrivo, mi fa una bella menzione al Direttore per uscire in permesso a Natale. Due giorni: la vigilia e il 25 dicembre. Però le cose qui me le rilegge lei, per farle più comprensibili. Allora ve lo dico fin da subito che ci sta una che corregge dopo. Perché non voglio imbrogliare.”
Le pagine di Zeno sono il racconto della vita fuori dal carcere e della vita dentro. Forcella e il basso in cui abita la madre, suo padre, detenuto pure lui, ma a Bergamo, la sorella, la fidanzata Natalina, le amicizie buone, le amicizie sbagliate, la delinquenza, l’isolamento, il mare che a tutti piace ma a lui no perché tutto attorno all’isola di Nisida il mare “si spara le pose”, si preoccupa solo di apparire.
“Voi dite semp’ che ci dobbiamo trovare ‘na passione e che ci dobbiamo -recuperare-. E che questo può succedere solo con i sogni e le passioni. Però poi dite che non ci possiamo recuperare da soli, ma ci dovete recuperare voi. E io sono pure d’accordo, per carità. Però, prima di recuperarci, ci potete imparare la vita nuova? io saccio fare solo quella vecchia. E meno male che non sono nato femmina sennò sapevo fare solo la zoccola, come mamma mia. Provate a impararmi voi la vita nuova e vi giuro sull’anima di tutti i muorti di casa mia, vi giuro che divento scrittore!”
Il ragazzo sogna, nonostante la sua condizione, una vita diversa e attende con trepidazione il giorno della vigilia di Natale, quando gli verrà concesso di fare visita alla madre amatissima.
“L’amore assaje”, esordio letterario di Francesca Maria Benvenuto, è un romanzo potente, delicato, originale e genuino, in cui il dialetto napoletano si fonde con l’italiano in una corrispondenza armoniosa. Si evince tra le pagine la bravura dell’autrice che ha saputo dare voce a un personaggio che non lascia indifferenti, intenso in tante riflessioni, duro, commovente, a tratti irriverente e spiritoso. Una storia così la serbi a lungo, e la utilizzi per raccontare a chi non sa, o non vuole sapere, cosa sia la vita di un minore che a causa di un ambiente illegale e scarsamente alfabetizzato si trovi in situazioni complesse da cui, poi, è difficile tornare indietro se non attraverso un percorso riabilitativo ispirato ai principi d’umanità e dignità della persona.
L’amore assaje
di Francesca Maria Benvenuto
Mondadori