La tragedia del ponte Morandi di Genova riguarda tutti noi italiani perché è entrata nella “storia delle vergogne di questo Paese”. Avete mai sentito parlare di ponti che crollano in altri paesi europei? Avete mai visto immagini di palazzine che altrove cadono in seguito ad un terremoto? Soltanto “in Italia” direbbe il rapper milanese Fabri Fibra. Dopo Tangentopoli, gli attentati, le bombe alle stazioni, i rapimenti e i nostri politici assassinati, tutti avvenimenti che fanno parte della nostra storia repubblicana, ulteriori vergogne sono anche le morti che abbiamo sulla coscienza in seguito a questo tipo di tragedie. Inutile e giornalisticamente impossibile addurre responsabilità di carattere mafioso a queste vicende. Non si può affermare con nessuna certezza che le case crollino e i ponti cadano perché chi è stato responsabile della loro costruzione in passato abbia sottratto fondi ai finanziamenti stabiliti, per un arricchimento personale in barba ai progetti originali, ai danni della stabilità delle costruzioni (risparmiando magari sui materiali utilizzati e in particolare sulla quantità di cemento armato impiegato). È molto più semplice archiviare il tutto come l’ennesima tragedia italiana. Intanto piangiamo le 43 vittime provocate dal crollo oltre, in ultimo piano, alle figuracce internazionali che ormai ci caratterizzano. Abbiamo assistito ai funerali di stato, al dolore dei parenti delle vittime e ad una città intera che si è stretta e unita in un tragico momento di sofferenza. Abbiamo assistito al lungo applauso nei confronti dei nostri governanti, su tutti per Salvini e Di Maio. È chiaro che nei momenti di grande sofferenza sia confortante vedere i vice premier italiani metterci la faccia. Ma questo dovrebbe rappresentare la normalità, il minimo e non lo straordinario. A chi dovremmo dare la responsabilità di quanto accaduto se non proprio a loro? In questo Paese esiste ancora chi paga le proprie colpe? Il conduttore televisivo Piero Angela asserisce che “un Paese in cui non ci sono punizioni per chi sbaglia e non ci sono premi per chi merita è un Paese morto”. E pensare che pure negli anni più bui della prima Repubblica esisteva ancora la dignità dei rappresentanti politici. Diversi ministri si dimisero in seguito a scandali personali e tragedie di questo tipo. Il lungo applauso di Genova è sembrato un preoccupante paradosso: una folla plaudente il suo aguzzino.
È ovvio che qui non si vuol dare direttamente “la colpa” né a Di Maio o Salvini né al Governo che esiste “soltanto” da un paio di mesi. Tralasciamo anche le evidenti responsabilità della classe amministrativa precedente in quanto ciò che importa è il momento presente e al massimo quello futuro. E quindi ora sono loro che governano, sono loro che hanno la responsabilità di controllare, regolamentare e decidere. E qual è esattamente la loro posizione?
Potremmo riportare i casi del Ministro dell’Interno il quale votò la concessione a Benetton per le nostre autostrade (ora è contro la privatizzazione) oppure il tweet di Beppe Grillo del 2014 in cui si schierò apertamente con la fazione “No Gronda” (contro la costruzione del nuovo tratto autostradale di Ponente che avrebbe collegato Genova a Vesina sostituendo anche il tratto in questione del ponte Morandi) affermando sul popolare social media “fermiamoli con l’esercito”. Addirittura il blog M5S riportava nel 2013 che la possibilità del crollo del ponte Morandi “fosse una favoletta”. Adesso sembra che questo blog non fosse ufficiale del Movimento.
Allora, se come detto “la colpa” non può essere attribuita direttamente a questo Governo, nemmeno possiamo tralasciare questi fatti e queste posizioni che cambiano a seconda di come cambia il vento. Non c’è nulla di positivo nella tragedia del ponte Morandi, soltanto rammarico e dolore, ma si può dire che in seguito a questa vicenda si sono accesi i riflettori attorno ai tanti casi di infrastrutture e ponti in Italia (anche a Roma) fatiscenti e che si trovano nella stessa condizione del ponte Morandi di Genova. Saremo in grado di prevenire ulteriori tragedie?
Queste sono le tragedie interne al nostro Paese. Ci sono poi quelle che seppur avvenute al difuori dei nostri confini nazionali ci riguardano ugualmente: il dramma dei migranti per esempio. Anche in questo caso siamo tutti responsabili e abbiamo sulla coscienza le centinaia di vittime morte al largo dei nostri mari. Nessuno è favorevole alla tratta dei migranti, il fenomeno per cui dei criminali sfruttano le esigenze di migliaia di persone che si imbarcano in condizioni disumane dalle coste del Nord – Africa (perlopiù libiche) pagando esose somme di denaro, scappando dalla fame e dalla guerra con la speranza di raggiungere l’Europa per migliori condizioni di vita, essendo consapevoli che nel viaggio intrapreso potrebbero incontrare la morte. Certo, questo fenomeno va regolamentato e controllato insieme a tutta l’Unione Europea. La responsabilità è in gran parte del sistema criminale che serpeggia dietro le tratte dei migranti, ma diventa anche nostra, di noi italiani, quando queste Persone arrivano nei pressi delle nostre coste. Non si può in alcun modo essere complici di questo sistema, o pensare di non esserlo, lasciando morire delle persone. Oltre al diritto del mare che da sempre prevede il supporto e l’aiuto di chi si trova in difficoltà non dobbiamo dimenticare il diritto alla vita, di tutti. Cosa fare allora? La prima mossa deve essere accogliere! Accogliere queste navi, accogliere queste Persone e offrire loro un supporto. Tutto il resto è secondario: l’Unione Europea, la legalità etc. Prima salviamo e poi agiamo secondo legalità. Questo deve essere imprescindibile.
Perché questo fenomeno ci riguarda tutti? Perché anche noi italiani ci siamo trovati a emigrare, in massa, verso altri stati in particolare verso gli U.S.A. e la storia non può e non deve essere dimenticata. Ma soprattutto perché è ora di cominciare a pensare che oltre il colore della pelle, oltre le tradizioni culturali e religiose, oltre i confini immaginari che ci dividono, siamo tutti appartenenti al genere umano, tutti abitanti di questo mondo globale che in comune abbiamo il bene più prezioso: la vita. Politicamente e filosoficamente stiamo andando incontro esattamente all’idea opposta alimentata dalla cultura della diversità, per cui “le sorti di chi è diverso non mi riguardano”.
Ma fino a dove può arrivare il concetto di diversità? È diverso chi parla un’altra lingua, chi ha un altro colore della pelle o crede in un’altra religione. È diverso chi abita al sud da chi abita al nord (ci siamo già dimenticati i vari “terroni” e “Roma ladrona”). È diverso chi ha un’altra fede calcistica. Ma può essere diverso anche chi abita in un altro quartiere della stessa città oppure chi vive nella via opposta dello stesso quartiere. Addirittura il concetto di diversità può arrivare anche dentro uno stesso condominio con il condomino del piano di sopra diverso dal condomino del piano di sotto. Come si può vedere il concetto di diversità, su cui si fondano tanti principi e azioni degli attuali nostri governanti, oltre a non avere basi né scientifiche né filosofiche, si può estendere all’infinito creando soltanto muri e conflitti, per questo è estremamente pericoloso.
Quando capiremo che al contrario la diversità è una risorsa essenziale? Riferendoci ancora a una metafora calcistica, consideriamo le ultime rappresentative vincitrici dei mondiali di calcio: Germania e Francia. In comune queste due nazioni, queste due nazionali di calcio hanno un elevato numero di calciatori oriundi in rosa e titolari. Giocatori neri, turchi etc che giocano insieme. Insomma se si vuole vincere nel calcio, che poi appunto è una metafora della vita, bisogna considerare la diversità come un valore aggiunto. Sarà un caso che la nazionale italiana non si è neanche qualificata per l’ultima manifestazione mondiale in Russia?
È possibile un mondo come cantava John Lennon in Imagine,in cui “ imagine all people living life in peace”? Allora come può essere contrastato questo concetto di diversità che sempre più subdolamente si addentra nella società? Con la cultura!
In passato i personaggi politici erano tutti persone di grande cultura e presenza. Certamente ci sono stati troppi eventi storici, giochi di potere, nei quali ha prevalso l’interesse personale, però si poteva contare ancora su una certa dignità almeno in apparenza e un linguaggio forbito basati su di una cultura solida. Questo processo si è interrotto negli anni ’90 con il Berlusconismo che ha reso tutto più informale, normale, goffo e ridicolo. Il risultato è che oggi la cultura ai vertici del Paese è totalmente assente. È grave che un ministro faccia errori grammaticali, che un altro faccia citazioni fasciste oppure un altro neghi l’importanza della scienza e della medicina. Molto più grave è che si facciano dichiarazioni che puntualmente vengono poi smentite o addirittura capovolte. Non scordiamoci che l’attuale Governo è frutto di un’alleanza per la quale entrambe le parti avevano più volte espresso fortemente il reciproco disprezzo. Inoltre la politica si combina al marketing per cui anche le proprie responsabilità, anche fatti evidentemente negativi vengono indorati e utilizzati per il proprio vantaggio contro l’avversario politico di turno. Ma ciò che è ancora più drammatico e preoccupante è il profondo silenzio in cui riversano, da anni, le opposizioni di sinistra. Questa sì che è una grande responsabilità. Anni, legislazioni, avvicendamenti di premier e la possibilità di governare e cambiare questo Paese da parte di chi, invece, si faceva portavoce anche di un messaggio culturale. L’attuale palcoscenico politico italiano rappresentato da ignoranza, poca cultura, razzismo e “odio” per la diversità è frutto dell’incapacità e dell’interesse personale che è stato messo al centro dalla sinistra italiana. L’ultimo rampollo, Matteo Renzi, ha ormai fallito (nonostante il grande consenso iniziale) e ha perso definitivamente di credibilità portandosi dietro, nell’abisso da lui creato, il suo stesso partito.
Il filosofo tedesco Karl Jaspers diceva: “sia il dittatore sia il democratico fanno appello alla popolazione, quale dei due avrà successo dipende dal giudizio emesso di volta in volta dalla popolazione, ma ciò è eguale al giudizio che la popolazione ha di se stessa”.
Allora cosa possiamo fare? Ovviamente la speranza non solo è l’ultima a morire ma non morirà mai finché investiremo in cultura, conoscenza e sui nostri giovani italiani. La soluzione è puntare tutto sulle nuove generazioni, ma non in futuro, ora! Tornando alla citazione di Lennon nel capolavoro Imagine: “you may say I’m a dreamer, but I’m not the only one”.
Andrea Lorenzini