di Luisa Di Maso
Instagram @luisa.di.maso
Ci sono storie che regalano al lettore stupore e fascinazione, che fanno innamorare per la potenza evocativa insita in ogni pagina, in grado di sollecitare ricordi personali, ma anche appartenenti alla memoria collettiva.
Miseria e crudezza, riscatto non sempre, e non per tutti, nella Napoli dei primi anni del secolo scorso, quando l’infanzia povera e abbandonata finiva per ingrossare le fila della malavita locale, oppure oggetto di attenzioni di miserabili senza scrupoli. Ma un’opzione di speranza, di possibile recupero alcuni scugnizzi che vivevano di espedienti nei vicoli della città, la trovarono in una nave asilo, la Caracciolo, dismessa dalla Marina Militare, attraccata nel porto di Napoli. Un esperimento educativo che ebbe successo e risonanza anche all’estero.
“Tutto ruotava attorno a una certa nave in disarmo ancorata nel porto di Napoli. A farne dono alla città era stato il Ministero della Marina perché fosse trasformata in un rifugio destinato ad accogliere bambini orfani o abbandonati tra i sei e i dodici anni, dei quali i vicoli dei quartieri pullulavano, per restituirli fin da subito a una vita salubre e dignitosa, ma soprattutto per garantire loro un futuro attraverso l’addestramento ai mestieri marittimi.”
Figura emblematica quella di Giulia Civita Franceschi, direttrice della nave e della scuola, per tutta la durata della sperimentazione. È lei la protagonista di questo romanzo straordinario che non solo fa conoscere una vicenda sconosciuta ai più, ma che ha il grande merito di raccontarci la forza e la determinazione di una donna che ha dedicato molta parte della sua vita a questo progetto, anche dopo che la nave asilo fu chiusa improvvisamente per volere del regime fascista. Fondamentale l’aiuto del reverendo Viggiano che rincorre fin dentro i bassi e acciuffa i poveri orfani ignari della fortunata sorte. Dolce e commovente la vicenda del piccolo Felice che sembra ogni volta sfiorare l’occasione per poi perderla.
“Operando da scarsi quattro mesi al massimo delle nostre forze dovrei mettermi l’animo in pace. Ma non posso evitare di pensare agli innocenti ancora per strada, a tutti quelli che ho mancato per un soffio e che forse non recupererò più. Anche loro avevano bisogno di me e invece io non c’ero.”
Ma Giulia ha un cruccio, vorrebbe adoperarsi anche per le bambine ancora più esposte ai rischi della strada.
“Nessuno pensa a loro e sì che sono ancora più esposte dei maschi a brutture di ogni genere: la prostituzione infantile, per esempio. Vi sembra sensato che il regolamento delle navi asilo mi vieti di occuparmene?”
Sullo sfondo gli eventi catastrofici che portarono all’affermarsi del fascismo con tutto il suo carico di violenza inaudita e intimidazione degli avversari politici.
“A perdita d’occhio non si scorgevano che uomini in camicia nera. Sbarcati dai traghetti provenienti dalla Sicilia e dalle isole minori, avanzavano in gruppi compatti in direzione dei giardini di Molosiglio; e con quale baldanza esibivano i gagliardetti coi simboli mutuati dal disciolto corpo degli Arditi: il fascio littorio romano e un teschio dal pugnale tra i denti e sotto la scritta: A noi!”
Antonella Ossorio con “I bambini del maestrale” conferma il suo talento e conquista per lo stile fluido, senza retorica e l’abile narrazione. L’uso della lingua napoletana in alcuni passaggi non fa che accentuare la schiettezza e veridicità di certe situazioni. L’omaggio significativo a Grazia Deledda, citata per il suo Canne al vento, sembra essere il deus ex machina di tutto il romanzo.
In passato s’era spremuta il cervello fino allo stremo per analizzare e tentare di decifrare l’essenza di ciò che chiamiamo destino. Ci è dato sottrarci al suo potere o siamo veramente canne al vento? È il tocco della fortuna, l’accanirsi della malasorte o cos’altro a determinare chi sarà salvo, e chi si perderà? Giorni, mesi, anni a ruminare le medesime domande per poi accorgersi di stringere da sempre nel pugno la risposta: se non possiamo comandare al maestrale in quale direzione e con quanta forza soffiare, abbiamo comunque facoltà di manovrare al nostro meglio le vele.”
Una storia autentica, avvincente, toccante. Un romanzo bellissimo, un vero gioiello nel panorama editoriale, che merita di essere letto e acclamato.
I bambini del maestrale
Antonella Ossorio
Neri Pozza