Il successivo album appunto “Due anni dopo”, dove non compare ancora il cognome, è lo spartiacque tra il Guccini legato alla canzone sociale e a temi cari alla generazione e alla stagione dei cambiamenti e universalmente riconosciuta come quella del “Sessant’otto”. In questo lavoro, che Guccini completa a trent’anni si sente una introspezione rara per i prodotti della nascente canzone d’autore. I brani sono liricamente impegnativi e complessi, con articolazioni vocali intricate, quasi ecumeniche, insieme a melodie più lineari e orecchiabili con appoggi stabili sugli accordi.
Complessivamente il disco consta di dodici brani, gli arrangiamenti sono affidati a Giorgio Vacchi, etnomusicologo di rilievo, ricercatore della tradizione cantico orale dell’area emiliano romagnola. L’intervento di Vacchi fa dell’opera un delizioso capitolo nella storia della discografia italiana.
Canzoni come Ophelia e Vedi Cara, sono ormai storicamente riconosciute non a torto pietre miliari della canzone d’autore italiana, ma brani come Primavera di Praga e la title track Due anni dopo andrebbero rimesse nel giusto canale dell’ascolto di massa, almeno come documento sonoro di una stagione e di un movimento culturale, quello della canzone d’autore appunto che comunque, piaccia o no, ha tenuto in piedi l’industria discografica italiana in anni bui, dove le vendite dei prodotti musicali hanno subito flessioni importanti. Come già detto ottanta anni d’età del maestro e cinquanta dal suo primo disco sostanzialmente costruito come un prodotto musicalmente stimolante è un omaggio alla nostra cultura, soprattutto alla musica d’autore, un patrimonio che pian piano sta perdendo la sua diffusione tra le giovani generazioni. Guccini per le sue liriche ormai è stato, come altri esimi colleghi cantautori, inserito nei testi di letteratura delle scuole superiori. La sua discografia è inserita nei piani di studio delle facoltà umanistiche.
Un invito a riascoltare queste pietre miliari della nostra storia, lavori per troppo tempo ingiustamente lasciati nel dimenticatoio e prestare attenzione anche alla cover del disco, con un bianco e nero nettamente contrastato e graficamente ineccepibile.
Marco Abbondanzieri