Quindi il passo è stato quasi automatico.
No, ho iniziato con Antonio perché comunque attratto e coinvolto personalmente, anche per aver tempo da occupare e riempire i vuoti che ti lascia la detenzione. Ho lavorato con Antonio la prima volta nel 2012 nello spettacolo “Nascette in mezzo o mare” sulla Napoli cutoliana, da allora non ho mai smesso, il teatro e successivamente le altre arti legate allo spettacolo come il cinema e partico-larmente la fiction televisiva sono entrate a far parte del mio mondo.
Infatti ho visto che fai parte di molti cast di fiction e sceneggiati.
Si da tempo sono impegnato in varie serie e fiction televisive, è un lavoro che mi soddisfa e piace, dandomi il modo di mettere a frutto il lavoro fatto in questi anni con la compagnia. Ho lavorato in “Suburra” la serie Tv tratta dal film di Sollima, ora sono stato contattato per una nuova serie le cui lavorazioni dovrebbero iniziare a breve. Ma non vivo di sola TV e di teatro, dopo l’esperienza del carcere ho avviato un’attività commerciale di servizi dove sono occupato e presto la mia opera in-sieme ai miei collaboratori.
Prospettive future e programmi.
Come tutte le persone coinvolte in questa avventura spero di continuare su questa strada, il teatro e conseguentemente la TV sono stati per me occasione di recupero e interesse verso un modello alter-nativo alla pena, che comunque ho scontato.
Daniele, classe 1952 è stato detenuto in regime di carcere duro dagli anni ’70, condannato anche lui ad una pena detentiva molto lunga, ora ha come occupazione primaria un atelier dove fa e promuo-ve attività culturali, in primis quella di pittore, sua passione e lavoro.
Daniele, dove e come hai incontrato il teatro?
Prima di ogni cosa mi considero un proletario e vado fiero di questo. L’isolamento in carcere non è cosa che si possa augurare e tantomeno descrivere. In una cella di pochi metri quadri, dove per gia-ciglio hai una tavola con una coperta può portarti veramente a perdere l’equilibrio mentale. Dico sempre che se la pena di morte lo stato la vita te la toglie, con l’ergastolo se la prende. Così in quel periodo nel carcere di massima sicurezza dove ero segregato iniziai a leggere quello che potevo aver a disposizione erano i classici della letteratura delle edizioni Paoline che mi forniva una suora. Inizia così a consultare le opere di Shakespeare anche per esercitare la memoria, imparando quei testi a me-nadito, esercizio che riusciva a mantenere stabile il mio equilibrio psicofisico.
Quale opera del grande drammaturgo ti ha coinvolto più delle altre?
Il mercante di Venezia, la sua adattabilità e attualità, anche in chiave moderna e soprattutto metro-politana, i meccanismi sono sempre gli stessi e si ripetono nei secoli, il genere umano impara poco dagli errori.
Vedo che hai prodotto negli anni molte opere d’arte.
Questo che vedi nel mio atelier è il frutto di fasi e periodi di metilazione che hanno portato a buoni risultati, la struttura che ci ospita si chiama Horti Lamiani Bettivò ed è una fucina artistica. Insieme a Caterina Venturini abbiamo iniziato una forte collaborazione che prosegue dal 2012, nel tempo sia-mo riusciti a far convivere forme d’arte diverse tra loro come la pittura e il teatro, abbiamo poi creato una forte sinergia con il quartiere Esquilino in cui risediamo. Una performance su tutte è quella de-dicata alle donne di Plaza de Mayo con lo spettacolo“Mar del Plata” che ha visto come protagonista una delle glorie del teatro italiano, l’attrice Isa Barzizza.
Marco Abbondanzieri