L’altopiano iranico ha avuto frequenti contatti con l’Europa, sin dai tempi di Ciro il Grande e le guerre greco-persiane ultimamente portate sul grande schermo da kolossal come “300” e “300, L’alba di un impero”. Purtroppo, come spesso accade, quando la versione dei fatti riportata proviene da una sola fonte o, come in questo caso, da una visione eurocentrica, i fatti appariranno come minimo alterati se non, nel peggiore dei casi, modificati in modo sostanziale per poter mostrare una parte del tutto edulcorata della verità.
Ad esempio, all’inizio del 1800, gli europei descrivevano gli esponenti della coeva dinastia persiana dei Qajar come “i despoti orientali” perché lo shah, ovvero il re, deteneva il potere assoluto. In pratica, sia la mancanza di una burocrazia statale sia la totale assenza di un esercito stabile limitavano la sua possibilità d’azione. Nel corso del 1800 e durante i primi anni del 1900, l’influenza occidentale indebolì i già deboli legami che la dinastia manteneva con il resto della società: in particolare, le classi che più potevano sentirsi minacciate dai nuovi costumi e da un’interferenza economica, ovvero i mercanti e i notabili religiosi, si allearono creando la classe media tradizionale, accomunati dal risentimento contro il governo e le potenze straniere. Inoltre, il contatto con nuove idee produsse una nuova classe media di intellettuali che si riferiva a sé stessa con il termine russo di intellighenzia e anelava a nuovi modelli di trasformazione e progresso umano e sociale.
All’interno di questo scenario sociale incline a rapidi cambiamenti, i Qajar cominciarono a vendere concessioni: nonostante cercassero di risanare il debito pubblico, di fatto non facevano altro che cedere potere economico alle potenze straniere. Gli anni 1904 e 1905 recarono una bancarotta del governo e un’inflazione in rapida ascesa che aggravarono la crisi; inoltre, due importanti proteste popolari fecero cedere lo shah, conseguendo la conquista della prima Costituzione iraniana.
La crisi istituzionale ed economica proseguirà negli anni seguenti anche con il governo parlamentare fino alla I guerra mondiale, quando l’Iran divenne un campo da battaglia per le super potenze, nonostante la neutralità; alla fine del conflitto, un impopolare accordo anglo-persiano concedeva molti, troppi, diritti di monopolio alla Gran Bretagna, ebbra di imperialismo. S’inserisce in questa trama complicata il colpo di stato del 1921 compiuto dal generale Reza Khan; questi doveva gran parte della sua carriera agli inglesi, tant’è che per molti iraniani la sua ascesa venne provocata da un complotto di matrice britannica. Reza Khan continuò ad avallare i Qajar, ormai privi di qualsiasi potere, fino al 1926 quando si incoronò ufficialmente primo shah della nuova dinastia Pahlavi. Durante gli anni del suo regno, centralizzò il proprio potere e creò un vero e proprio apparato statale e schiacciando qualsiasi opposizione fino al 1941, quando l’Iran fu teatro dell’invasione anglo-sovietica. Questi ottennero l’abdicazione di Reza Shah in favore del proprio figlio Mohammad Reza, che mantenne il controllo delle forze armate in cambio della piena collaborazione con gli Alleati. Iniziò una sorta di interregno durante il quale il nuovo shah rinunciò alla sovranità assoluta, perdendo il controllo del majles – il Parlamento. Venne ristabilita l’autorità monarchica solo nel 1953, quando grazie all’aiuto di inglesi e americani lo shah tolse il potere ai notabili. Nonostante questo colpo di stato sia stato spesso giustificato come un salvataggio della CIA dal comunismo internazionale – che in Iran aveva preso piede con il partito chiamato Tudeh – in realtà la questione centrale fu chi dovesse controllare la produzione e il commercio del petrolio. La nazionalizzazione del petrolio, sostenuta dai parlamentari, avrebbe consegnato il controllo del monopolio in mani persiane, minacciando l’egemonia imperialista degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
Fino al 1975, Mohammad Reza Shah utilizzò il potere assoluto recuperato per continuare la costruzione di una struttura statale, attuò una Rivoluzione Bianca, con riforme agrarie, insistette sui programmi sociali, aumentando le istituzioni finalizzate all’istruzione. La sostituzione della legge religiosa con un sistema tribunale moderno operata dai Pahlavi causò un danno enorme al clero: prima della Costituzione, la visione religiosa era l’unica concepibile, incarnando la sola legge universale. Secondo alcuni esponenti della classe intellettuale iraniana, fino alla Rivoluzione Islamica del 1979, la lotta che divise l’Iran non si limitava alla politica, ma riguardava due visioni opposte, quella laica e quella religiosa. I tradizionalisti si opponevano al progressismo e alla modernizzazione attuata dai Pahlavi, e lo scontro ideologico si focalizzò sui diritti delle donne, sulle minoranze etniche e lo stile di vita. Questa reazione violenta del clero cominciò nel 1963, con i primi scontri armati, guidati e istigati dall’ayatollah Khomeini. Agli inizi del 1978, lo shah ancora oscillava tra duri metodi repressivi e tentativi di riconciliazione; invano. Sia i tradizionalisti, sia i socialisti, i comunisti e la classe dell’intellighenzia si ribellavano al potere assoluto dello shah. Il 16 gennaio 1979 venne esiliato, e l’ayotollah Khomeini entrò trionfante a Teheran e venne dichiarato imam, un titolo conferito dall’Islam sciita ai discendenti del Profeta Mohammad, sebbene in questo caso fosse un onore prettamente simbolico. Per consolidare il potere del nuovo governo, vennero creati dei Comitati Rivoluzionari che ben presto si elessero a paladini della morale, arrestando per i motivi più disparati, dal possesso di alcolici o di musica occidentale alla blasfemia. Le donne senza velo cominciarono ad essere aggredite dai miliziani con l’acido, con i coltelli, con le forbici. Ben presto, la legge religiosa venne estesa a tutto il paese. Sebbene negli anni la situazione iraniana venne analizzata plurime volte, sempre alla ricerca di questo o quell’altro errore che avrebbe evitato la Rivoluzione Islamica, in realtà questa fu la diretta conseguenza di una serie di tensioni sociali e culturali che sobbollivano nelle profondità del paese sin dai primi decenni del XX secolo. Lo shah si era alienato qualsiasi settore della società, negandosi l’appoggio dell’intellighenzia e della classe lavoratrice urbana; la stampa estera che denunciava i soprusi del regime con i suoi arresti arbitrari non contribuì a migliorare l’immagine del sovrano; inoltre, l’interferenza occidentale impedì il naturale svolgimento di un processo di autodeterminazione del popolo iraniano.
Il nuovo Governo Islamico sopravvisse nonostante i dubbi della classe laica, che non reputavano i religiosi capaci di poter sostenere uno Stato moderno. Invece, le rendite petrolifere permisero lo sviluppo della burocrazia, e la guerra contro Saddam e l’Iraq che durò dal 1980 al 1988 diede una spinta per l’espansione economica dell’Iran. Nel 1989, quando l’ayotollah Khomeini morì, venne nominato come successore con il titolo di guida suprema il religioso Khamenei, ancora in carica attualmente.
Ultimamente nelle pagine dei giornali occidentali l’Iran è stato nominato a causa degli accordi nucleari presi con gli Stati Uniti, o le recenti manifestazioni di ordine economico che sono state immediatamente lette come una ribellione al governo teocratico. Purtroppo, la maggior parte della popolazione occidentale ignora persino dove sia posizionato l’Iran, scambiandolo spesso con il suo acerrimo nemico, l’Arabia Saudita, e non ha la minima consapevolezza delle differenze che lo dividono dal resto dei paesi arabi, in termini sia religiosi sia etnici.
Quando un paese diventa consapevole del fatto che la propria cultura, la propria religione e il proprio modo di vivere vengono percepiti diversi, e dunque sbagliati, da una parte del mondo – e da quella parte del mondo che detiene il potere sia politico sia economico – , si può scatenare una reazione prevedibile e non per questo meno inevitabile: una testarda e cieca nazionalizzazione. Spesso, questo processo ha causato lo sviluppo di focolai di fondamentalismo religioso, accesosi per riuscire a ribadire il proprio diritto di auto determinazione, per tentare di combattere una globalizzazione che non contempla culture diverse da quelle di matrice europo-statunitense e per dichiarare al resto del mondo che esistono altre realtà. Purtroppo, come spesso accade, nonostante questi processi si siano innescati per riuscire a contrastare una visione culturale straniera e soffocante, non hanno fatto altro che acuire il conflitto tra due visioni antitetiche. L’unica chiave che potrebbe riuscire ad evitare un peggioramento, potrebbe essere quella di riuscire a conoscere culture diverse, accettandole e non giudicandole attraverso lo specchio delle nostre percezioni preconcette.